sabato 12 luglio 2008
Lo so, sto facendo un casino
Per chi vorrà seguirmi il nuovo indirizzo è:
WWW.COMEILPANEACOLAZIONE.BLOGSPOT.COM
lunedì 2 giugno 2008
Blackout

domenica 11 maggio 2008
Post senza titolo
di guerra e violenza
anche i fiori
piangono... e noi
continuiamo a credere
che sia rugiada
Jim Morrison
domenica 4 maggio 2008
Dal passato e tuttavia ancora presente...
Saul Bellow, Herzogh, 1964
lunedì 28 aprile 2008
mercoledì 23 aprile 2008
25 aprile - Sacrario di Marzabotto
(8 settembre 1943 - 1 novembre 1944)
Domani Marco ed io partiamo per Bologna e il 25 saremo a Monte Sole per portare un fiore e mangiare un bel panino con la salsiccia alla faccia di chi vorrebbe sopprimere il 25 aprile (leggi Gustavo Selva) o non farci cantare "Bella ciao" (vedi sindaco di Alghero).
giovedì 17 aprile 2008
Un libro per salvarci l'anima
Senza titolo
Non so se e quando riaggiornerò il blog.
lunedì 24 marzo 2008
O tempora, o mores!
sabato 22 marzo 2008
giovedì 6 marzo 2008
Palestina
Desidero fare partecipi tutti di questo progetto ( e non per mia figlia che è solo una piccola pedina di questa vicenda), ma soprattutto per far conoscere cosa vivono grandi e piccoli nei paesi devastati dall'odio e dalla violenza. Quello che pubblico di seguito è il resoconto del viaggio del 2006 scritto da uno degli operatori.
Il villaggio è praticamente stretto in una morsa. Adiacente ai confini segnati dalla green-line verso Israele mentre il lato interno, che porta in Cisgiordania, un territorio frastagliato dall’alternarsi di insediamenti israeliani e di villaggi palestinesi che è possibile cogliere solo di notte, grazie alle differenze di colore nell’illuminazione, arancio per i primi, bianco per i secondi, vede il muro in costruzione che di giorno in giorno s’allunga sempre più ed è tagliato dalla By-Pass Road, una strada agibile solo dagli israeliani che così possono aggirare in sicurezza i villaggi palestinesi e il loro territorio. Ci sono gravi carenze.
La comunità locale non ha una rete idrica e dipende dai pozzi collocati nelle terre confiscate dalla costruzione del muro. L’unico modo di accedere all’acqua è scavare profondi pozzi di raccolta nell’area del villaggio con il rischio che da un giorno all’altro possano essere distrutti per mancanza di permessi.
Per evitarlo si costruiscono pozzi in un terreno argilloso che spesso provoca la formazione di veri e propri tappi di terra, con il bisogno di essere ripuliti di frequente a mano, calandosi dentro, riempiendo secchi di fango fino a svuotarli per far tornare l’acqua a un livello accettabile e usufruirne nuovamente. I più fortunati hanno contenitori di raccolta sui tetti, una visione tipica di molti altri villaggi e città palestinesi che hanno lo stesso problema, mentre negli insediamenti israeliani l’acqua corrente non manca, così come non mancano gli annaffiatoi per irrigare i giardini privati.
Manca la rete stradale, fognaria, elettrica. La maggior parte delle strade che portano o permettono l’uscita dal villaggio sono state fatte saltare in più punti, con crateri profondi due o tre metri. Quelle ancora praticabili, sono sterrate e a tratti accidentate ai limiti della percorribilità. I controlli quotidiani dell’esercito israeliano si aggiungono a questo tipo di viabilità scarsissima comportando spesso l’impossibilità che arrivino i camion per svuotare le cloache, oppure che si vada a lavorare (il lavoro lo si trova solo se le autorità israeliane concedono i permessi), o peggio, che arrivi un’ambulanza [1]. Un gruppo di manovali provenienti da Hebron, per poter essere lì a guadagnare lo stretto necessario per vivere, doveva rimanere a dormire nelle fondamenta della scuola che stavano costruendo con i fondi delle Nazioni Unite (il programma UNRWA), nel silenzio, «immersi nel buio dopo il tramonto» raccontano, «per evitare che un controllo militare, nel migliore dei casi, trovandoci ci rispedisca a casa».
Può voler dire non far più ritorno sul posto di lavoro, negarsi persino la sopravvivenza. Ad Arab Ramadin è il ritmo solare che scandisce la giornata. «Quando è buio non è permesso più niente» dicono, «ma di giorno, non è che cambi molto, prendere una macchina è andare a Dahriya, una cittadina distante soli dodici chilometri, magari per trovare la farmacia che qui non esiste, è impossibile, i controlli militari sono snervanti e soprattutto rischiosi».
Ne ricordo uno in particolar modo. Siamo in cinque, tre adulti italiani, l’autista palestinese e il figlio, quattro anni. Ci mettiamo in coda alla fila, sono soprattutto mezzi pesanti. Spegniamo la macchina, si deve aspettare. Il bambino tace, solo pochi istanti prima allegro, giocava scambiando sorrisi e il suo sguardo vispo con noi. Dopo mezz’ora l’autista decide di superare almeno qualche camion, così, «quando sarà il momento di ripartire per la strada sterrata e stretta, saremo davanti e potremo recuperare un po’ del tempo perduto» ci dice.
I militari al primo blocco – ve ne è un altro collocato una settantina di metri più avanti, tutto intorno sono sparpagliati in divisa e in borghese, cercano qualcosa o qualcuno nel solito rastrellamento – strillano l’alt, uno continua a gridare e punta il mitra. Ci fermiamo ancora, spegniamo la macchina. Il militare continua, gioca con la prepotenza e inizia a ripetere divertito un numero col mitra: se lo alza sulla testa, lo porta lentamente braccia al petto, ce lo mostra, lo punta veloce sul bersaglio…noi. Il bambino oltre che taciturno è ora immobile, osserva , ipnotizzato dal comportamento. Tento di distrarlo con qualche diversivo ludico, non serve, è troppo concentrato su ciò che succede attorno. Il papà, alla guida, con la sua aria scoraggiata confessa, «ho imparato a tenere tutto, a non far vedere nulla a mio figlio, le emozioni che ti maturano qui te le devi tenere dentro». Passa ancora tempo, troppo. L’autista ci chiede di dire che siamo italiani, magari ci fanno passare prima, ma non si può, non si riesce neppure a parlare, a spiegare, dobbiamo restare lì, immobili. E' un pomeriggio d’agosto e ci sono quarantaquattro gradi. Ripartiamo dopo un paio d’ore, forse più, in mezzo a quel nulla riempito di violenza gratuita abbiamo perso il senso della misura. Intanto questo figlio, penso, assieme a molti altri figli, assorbe come spugna in un mare quasi secco l’inchiostro d’una quotidianità deformata, poi ne riversa poche gocce, quelle possibili per non morire di sete, e schizza su un foglio sporco trovato in macchina un’idea, accennando la rappresentazione del mondo in cui vive: guerra…invisibile guerra. Finalmente siamo al villaggio, il sole è all’imbrunire, tutti ci accolgono preoccupati, chiedono i motivi del ritardo, spieghiamo e nei loro volti si legge la rassegnazione, la rabbia.
Quando è buio ogni famiglia del villaggio accende il suo generatore di elettricità a benzina. Sa, da quel momento, che ha a disposizione circa tre ore di luce. Gayad, 50 anni, spiega, «il livello di benzina è collaudato, oltre questo consumo sarebbe impossibile, visti i costi». Parla di come la piccola economia del villaggio sin dal 1948 sia dipendente dal regime di occupazione che continuamente ha effettuato confische di terre per la pastorizia, demolizioni di case e di pozzi d’acqua che rappresentano per la comunità l’unica fonte d’approvvigionamento. In questo contesto di forte disagio sociale, di controllo psicologico e territoriale, ci sono i bambini, con in mano un permesse già all’età di dieci anni, altrimenti restano prigionieri del loro villaggio. Quando non sono a scuola gironzolano, fanno giochi riciclando come possono quel poco che gli adulti buttano via. Così, vecchie ruote di bicicletta o più spesso la compagnia degli animali utilizzati per lavoro si trasformano in antichi divertimenti. Questi bambini aiutano, si prodigano riempiendo l’acqua dai pozzi, scavandoli, svuotandoli, consapevoli che ognuno di loro è importante nelle scarse economie familiari. Arafat, 12 anni, racconta la sua giornata. Sveglia alle 6, una colazione semplice, pane arabo bagnato nell’olio con del tè, e poi col suo asino raggiunge il papà, porta fuori dal recinto il gregge e dopo un’ora circa va a scuola, fino alle 13.30. Arafat parla della sua quotidianità, «aiutare la mia famiglia dopo la scuola è l’unico modo che conosco di far passare la giornata a Ramadin». E allora eccolo diventare commerciante nel piccolo market di un cugino, oppure trasformarsi in pastore per pesare e segnare le pecore d’uno zio. I bambini sono immersi in un ambiente fortemente limitato dalle scelte conflittuali degli adulti di entrambe le parti, disegnano e offrono dettagliate fotografie della realtà che vivono, producendo i loro resoconti visivi. Occuparsene significa documentare l’assenza di tranquillità, l’idea che si fanno del nemico, e purtroppo anche come si preparino le guerre future. [2]
Nel disegno di Salam, così come in quelli di altri bambini, l’immagine del nemico è angosciante. Gli omini non rappresentano più uno dei semplici elementi che appartengono al disegno dell’infanzia, ma spietati combattenti. L’intera superficie del foglio è coperta dalle forze israeliane, i palestinesi che sono riusciti a penetrare verso il centro del foglio sono stati abbattuti. Quelli che sono ai margini vengono freddati sebbene fra loro ci siano già morti e i vivi tengano alzate le mani come per arrendersi (particolare questo, agghiacciante, che non lascia speranze). I loro mezzi, in quel centro impenetrabile dove non è permesso entrarci, bruciano. Il nemico è ben inquadrato. Il grafismo spoglio di questo disegno rappresenta i morti con un’obiettività sconcertante e l’immagine del nemico come insieme di uomini che non si ferma nemmeno davanti alla resa. Salam forse realizzerà quel sogno di vedersi giornalista. E' un bambino come tanti, ascolta, guarda, e talvolta disegna ciò che dalla realtà ha imparato, il nemico uccide, non permette nulla, si deve uccidere il nemico. Al di là di ogni presa di posizione politica Salam e altri bambini danno modo di vedere l’immagine che di questo insieme producono. Poi cresceranno, bypassati dal divertimento, dalla creatività che proietta l’infanzia nella ricerca di soluzioni positive, dall’idea di avere un’altra possibilità per il loro futuro. Diventeranno adulti, le idee cementeranno e con esse, le rispettive posizioni politiche (come finora è stato).
giovedì 21 febbraio 2008
Tè e musica
lunedì 18 febbraio 2008
Per Helios
C'è un libro che si intitola "Donne che corrono coi lupi" di Clarissa Pinkola Estés, una vera Bibbia per me, nella prefazione dice:
Siamo pervase dalla nostalgia per l'antica natura selvaggia. pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. ma l'ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l'ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe"
Non ti sembra che aderisca perfettamente a quello su cui abbiamo sproloquiato nel precedente post?
sabato 16 febbraio 2008
194, alcune considerazioni
Quindi, per continuare il discorso sulla 194, come si può spiegare a un uomo, veramente, cos'è un aborto? Nemmeno se quel grumo di cellule ce lo sfilasse lui dall'utero, con le mani piene del nostro sangue, potrebbe "ascoltare" il fluire delle parole che sgorgano dalla nostra mente, il dolore o il sollievo per una maternità incompiuta.
Io ho usufruito della legge sull'interruzione di gravidanza e me ne rallegro. Avevo già due figlie grandi e un lavoro, non potevo concedermi altro. Come posso pensare che le mie ragazze e tutte le altre donne in età fertile, tra i tanti drammi della vita, non possano almeno avere un pensiero in meno? Un figlio è per sempre, non come il "Trilogy", un figlio sarà il tuo pensiero fisso anche quando l'ultimo barlume di luce si spegnerà nei tuoi occhi.
Non voglio che i cattolici integralisti, i fascisti, i politici vuoti e stolti, i furbi, tocchino, nemmeno con la mente, i nostri corpi.
Il corpo di una donna è sacro, ed è sacro finché la donna stessa lo gestirà con consapevolezza e in piena autonomia.
Difendiamola questa legge, strenuamente, senza remore e senza compromessi. Nel corso degli anni ho sempre detto alle mie figlie che se fosse mai venuto il giorno in cui si fosse messa in dubbio la 194, io sarei stata quella in prima fila, disposta ad andare in carcere, e lo dicevo con il sorriso sulle labbra, incredula.
Beh, eccomi qui, sono pronta.
giovedì 14 febbraio 2008
sabato 9 febbraio 2008
Aborto e legge 40 - Anni '60-'70: gli albori
Mi ricordo ancora, ero una ragazzina, un giorno in cui mia madre e mia zia parlavano di un argomento futile, gossip per capirci. Mina, (sì, la cantante) era incinta! Mia zia, fiera puritana, si scaldava nella conversazione, le si imporporava il collo e una vena si gonfiava a dismisura, nel lessico familiare la chiamavamo "vena d'oro", insomma era indignata perché quella zozzona era incinta di un uomo sposato, e si teneva questo figlio del peccato con estrema disinvoltura! Naturalmente qualche anno dopo ho scoperto che la zia in questione a 19 anni era rimasta incinta del suo fidanzato e si era dovuta sposare. La dice lunga no?
Il seguito a più tardi.
mercoledì 6 febbraio 2008
Il telegiornale mi fa male

Che pollastra! Per la mia maledetta fretta ho perso il testo che ho inviato poco fa all'Osservatore Romano, a proposito degli ultimi bla-bla-bla del papa-re.
Oggi se ne è uscito fuori che non bisogna essere attaccati ai beni terreni.
Allora ho mandato una mail all'Osservatore dicendogli se il Santo Padre, mentre parla, riflette che il costo del suo abito, molto probabilmente, è tanto quanto tutto il mio guardaroba e che se Gesù Cristo decidesse di rifarsi una passeggiata sulla terra e vedesse lui e tutto il suo seguito conciati in quel modo si farebbe delle gran risate. Pensate che mi risponderanno?
Staremo a vedere.
Sempre vostra.
Luz
domenica 3 febbraio 2008
Bassa pressione
E' una umida, triste, grigia, piovosa, orrida, deprimente, inconcludente, giornata anzi domenica di febbraio. Scusate se non ho più scritto, avrei voluto tanto ma le giornate mi sono sfumate tra le dita ed eccomi qui, anche io orrida e deprimente Luz!
Sono giorni bui e privi di senso, non so proprio se ce la farò ad emettere suoni dalla mia gola, è come se fossi muta, di lingua e di cervello. A caso: i feti vanno rianimati e il papa ringrazia i medici, i ragazzi, stranieri o italiani si ammazzano di botte, gli operai, italiani o stranieri, muoiono sul lavoro, si parla delle scene di sesso di Nanni Moretti, Baudo fa il festival di Sanremo, i politici sono dei gran buffoni, il Cavaliere impazza ed è un vero verme strisciante, a me va solo di starmene dentro casa e a non ascoltare, a fare le mie cose, ma senza ascoltare, senza domande e risposte. Vorrei coltivare rose e peonie, leggere il cielo e le stagioni, parlare con leggerezza ed invecchiare con gioia. Ma non posso, no proprio non posso, io sono una di quelle dei tempi "la classe operaia va in paradiso", che cazzo ci sto a fare in un giardino di rose e peonie, anche se lo vorrei con tutte le mie forze?
venerdì 25 gennaio 2008
Piove sul bagnato

Prodi mi è sempre stato indifferente, come tutti gli italiani non capisco quando parla e dopo due minuti mi distraggo e comincio a pensare ai cazzi miei. Ma "il mascalzone" Berlusconi mi fa montare il sangue al cervello, non ho mai odiato tanto un uomo quanto lui. La destra, quella storica, è per me "il nemico", ma l'avversario mi piace batterlo sul terreno, di fronte, ad armi pari.
Berlusconi e i suoi scherani mi fanno venire in mente una sola cosa, terrorizzante: IL NULLA. Quello di Michael Ende nella Storia Infinita, che avanza sbriciolando ideali e fantasia, omologando le nostre vite e facendole avvizzire in un batter d'occhi.
Ora, di nuovo, battaglie a non finire, perché quel centimetro di terreno che avevamo conquistato lo riperderemo, perché l'orda barbarica di Forza Italia, AN e Lega, spavaldi e incivili resteranno al governo per un altro ventennio, e cosa che mi fa schifo, la pseudo-sinistra, un vero e proprio "blob", divorerà e digerirà se stessa, perdendosi in liquame.
E noi?
Scusate il riferimento ai miei amati libri che sono il pane quotidiano, noi diventeremo dei Pinocchi, perché come dice Geppetto, all'inizio del libro "...lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l'elemosina".
mercoledì 16 gennaio 2008
Su papa Ratzinger
Invece aggiungo il commento del mio amico Elio che mi ha scritto una mail e che, pur essendo un laico e ateo convinto dice così:
martedì 15 gennaio 2008
L'arpa di Davita
Mi piace, a volte, rammentarne una frase che mi arriva dritta al cuore, attraverso chissà quali strane vie che sorgono dalle parole.
"Colmando con il lavoro tutte le ore della giornata, allontanava dalla sua vita i vuoti di ciò che chiamava tempi morti. I tempi morti portano alla solitudine, mi aveva detto una volta. E la solitudine, in certe occasioni, può spingerti a commettere sbagli e stranezze. La solitudine va prevenuta come si previene il dilagare di una pestilenza."