sabato 12 luglio 2008

Lo so, sto facendo un casino

Ho deciso di trasferirmi su un blog nuovo di zecca.
Per chi vorrà seguirmi il nuovo indirizzo è:


WWW.COMEILPANEACOLAZIONE.BLOGSPOT.COM

lunedì 2 giugno 2008

Blackout


Giorni fa, a Bologna, in un pomeriggio piovoso, vicolo Bolognetti, la festa del libro al quartiere S.Vitale. Siamo entrati in un cortile con chiostro, dove era in atto un incontro con Gianni Celati ed altri scrittori emiliani. Che bello, ho ascoltato parole poetiche, parole parole, che rotolavano felici nelle bocche e che parlvano delle grandi case editrici, ne parlavano male, erano parole arrabbiate, poi c'erano le parole dolci delle poesie e le mani battevano il consenso per quelle parole belle!

Serena mi ha regalato un libro, perché lì c'erano anche quattro banchetti di librerie piccine picciò. E' un libro di Gianluca Morozzi, giovane, del '71, anche lui bolognese. "Blackout" si intitola, e l'inizio fra digrignare i denti per la ferocia, poi entrano in ballo altri personaggi. Tomas, per esempio, sedicenne che vuole fuggire ad Amsterdam con la sua ragazza, per non entrare nel tunnel "felice" dei propri genitori, bancari, felici appunto, perché hanno accettato i compromessi della società, ma poi dentro (poveri illusi) hanno mantenuto intatti sogni, gli atteggiamenti new age, i tatuaggi. Forse io non sono così diversa da questi genitori, ma il posto in banca nel '73 l'ho rifiutato e il lavoro al Sindacato dei bancari l'ho lasciato per imbarcarmi in un'avventura che mi avrebbe portato a lavorare due anni nel Terzo Mondo, che poi non se n'è fatto nulla perché ho incontrato "Marco grosse scarpe e poca carne, Marco cuore in allarme" e abbiamo messo su famiglia, ma sempre pencolando tra la miseria e il riso. Bè insomma, tutta questa tirata per dire che in quel chiostro, tra Serena e Carmelo, sono stata così bene, con tutte quelle parole che giravano e giravano, e ora me le ritrovo in questo libro che ho letto ancora poco e non so se mi piacerà per intero, ma che avrà sempre il profumo di un pomeriggio bolognese.

domenica 11 maggio 2008

Post senza titolo

In questo mondo
di guerra e violenza
anche i fiori
piangono... e noi
continuiamo a credere
che sia rugiada

Jim Morrison


domenica 4 maggio 2008

Dal passato e tuttavia ancora presente...

"Per esempio? Be', per esempio, che cosa significa essere un uomo. In una città. In un secolo. In transizione. In una massa. Trasformato dalla scienza. Sotto il potere organizzato. Soggetto a tremendi controlli. In una condizione determinata dalla meccanizzazione. Dopo il recente fallimento di radicali speranze. In una società che non aveva nulla della comunità e che svalutava la persona... per la moltiplicata potenza delle cifre che rendevano il sé trascurabile. Che spendeva miliardi in armamenti contro nemici stranieri, ma che non era disposta a pagare niente per un po' d'ordine in casa propria. Che permetteva crudeltà e barbarie fin nelle proprie grandi città. Allo stesso tempo, la pressione esercitata da milioni di esseri umani che hanno scoperto cosa possono sforzi e pensieri concertati insieme. Come i megatoni d'acqua plasmano gli organismi sul fondo del mare. Come i flutti levigano le pietre. Come i venti scavano le scogliere. Il bellissimo supermacchinario che apre una nuova esistenza a innumerevoli esseri umani. Gli negheresti tu, il diritto di esistere? Gli chiederesti di faticare e morire di fame mentre tu ti godi deliziosi Valori Vecchio Stampo? Tu, tu stesso sei figlio di questa massa e fratello di tutti gli altri. Oppure sei un ingrato, un dilettante, un idiota. E' così che stanno le cose, Herzog, pensò Herzog, visto che vuoi un esempio.

Saul Bellow, Herzogh, 1964

lunedì 28 aprile 2008

La fine...

Alemanno sindaco, si può aggiungere qualcosa?

mercoledì 23 aprile 2008

25 aprile - Sacrario di Marzabotto

"Incassata fra le scoscese rupi e le verdi boscaglie della antica terra etrusca. Marzabotto preferì ferro, fuoco e distruzioni piuttosto che cedere all'oppressore. Per 14 mesi sopportò la dura prepotenza delle orde teutoniche che non riuscirono a debellare la fierezza dei suoi figli arroccati sulle aspre vette di Monte Venere e di Monte Sole sorretti dall'amore e dall'incitamento dei vecchi, delle donne e dei fanciulli. Gli spietati massacri degli inermi giovanetti, delle fiorenti spose e dei genitori cadenti non la domarono ed i suoi 1830 morti riposano sui monti e nelle valli a perenne monito alle future generazioni di quanto possa l'amore per la Patria"
(8 settembre 1943 - 1 novembre 1944)

Domani Marco ed io partiamo per Bologna e il 25 saremo a Monte Sole per portare un fiore e mangiare un bel panino con la salsiccia alla faccia di chi vorrebbe sopprimere il 25 aprile (leggi Gustavo Selva) o non farci cantare "Bella ciao" (vedi sindaco di Alghero).

giovedì 17 aprile 2008

Un libro per salvarci l'anima

Cosa può esserci di più bello di un libro che, quando lo chiudi ti lascia il gusto di un'intera tavoletta di cioccolato sciolta in bocca, e vorresti riaprirlo subito per rileggerlo ancora?

Senza titolo

Senza polemiche, senza analisi del voto, senza mea culpa, senza niente. Sono veramente stanca. L'umanità è di destra, razzista e famelica.
Non so se e quando riaggiornerò il blog.

lunedì 24 marzo 2008

O tempora, o mores!

SONO ATEA, MA DOPO L'ENNESIMA USCITA DI PAPARATZI, MI SA TANTO CHE MI CONVERTO ALL'EBRAISMO! (naturalmente rimanendo antisionista).

sabato 22 marzo 2008

giovedì 6 marzo 2008

Palestina

Mia figlia Serena è partita due giorni fa per la Palestina. E' già il quarto anno che va e viene da questo paese martoriato dalla guerra. Fa parte di un progetto umanitario dell'Anpas di Bologna, finalizzato all'apertura di un centro per bambini, inizialmente gestito dagli operatori dell'Anpas, che in questo lungo periodo hanno formato operatori locali che gestiranno il centro in piena autonomia. Ieri ci ha telefonato, e questo ci ha rincuorato, ma come al solito sono stati bloccati a Tel Aviv dagli israeliani che li hanno tenuti fermi e interrogati per tutta la notte e per di più non gli hanno riconsegnato i bagagli. Immaginate quanto suo padre ed io, siamo combattuti tra la grande considerazione di quello che sta facendo nostra figlia e la preoccupazione di saperla lì, con il suo compagno.
Desidero fare partecipi tutti di questo progetto ( e non per mia figlia che è solo una piccola pedina di questa vicenda), ma soprattutto per far conoscere cosa vivono grandi e piccoli nei paesi devastati dall'odio e dalla violenza. Quello che pubblico di seguito è il resoconto del viaggio del 2006 scritto da uno degli operatori.



Il villaggio è praticamente stretto in una morsa. Adiacente ai confini segnati dalla green-line verso Israele mentre il lato interno, che porta in Cisgiordania, un territorio frastagliato dall’alternarsi di insediamenti israeliani e di villaggi palestinesi che è possibile cogliere solo di notte, grazie alle differenze di colore nell’illuminazione, arancio per i primi, bianco per i secondi, vede il muro in costruzione che di giorno in giorno s’allunga sempre più ed è tagliato dalla By-Pass Road, una strada agibile solo dagli israeliani che così possono aggirare in sicurezza i villaggi palestinesi e il loro territorio. Ci sono gravi carenze.

La comunità locale non ha una rete idrica e dipende dai pozzi collocati nelle terre confiscate dalla costruzione del muro. L’unico modo di accedere all’acqua è scavare profondi pozzi di raccolta nell’area del villaggio con il rischio che da un giorno all’altro possano essere distrutti per mancanza di permessi.


Per evitarlo si costruiscono pozzi in un terreno argilloso che spesso provoca la formazione di veri e propri tappi di terra, con il bisogno di essere ripuliti di frequente a mano, calandosi dentro, riempiendo secchi di fango fino a svuotarli per far tornare l’acqua a un livello accettabile e usufruirne nuovamente. I più fortunati hanno contenitori di raccolta sui tetti, una visione tipica di molti altri villaggi e città palestinesi che hanno lo stesso problema, mentre negli insediamenti israeliani l’acqua corrente non manca, così come non mancano gli annaffiatoi per irrigare i giardini privati.

Manca la rete stradale, fognaria, elettrica. La maggior parte delle strade che portano o permettono l’uscita dal villaggio sono state fatte saltare in più punti, con crateri profondi due o tre metri. Quelle ancora praticabili, sono sterrate e a tratti accidentate ai limiti della percorribilità. I controlli quotidiani dell’esercito israeliano si aggiungono a questo tipo di viabilità scarsissima comportando spesso l’impossibilità che arrivino i camion per svuotare le cloache, oppure che si vada a lavorare (il lavoro lo si trova solo se le autorità israeliane concedono i permessi), o peggio, che arrivi un’ambulanza [1]. Un gruppo di manovali provenienti da Hebron, per poter essere lì a guadagnare lo stretto necessario per vivere, doveva rimanere a dormire nelle fondamenta della scuola che stavano costruendo con i fondi delle Nazioni Unite (il programma UNRWA), nel silenzio, «immersi nel buio dopo il tramonto» raccontano, «per evitare che un controllo militare, nel migliore dei casi, trovandoci ci rispedisca a casa».


Può voler dire non far più ritorno sul posto di lavoro, negarsi persino la sopravvivenza. Ad Arab Ramadin è il ritmo solare che scandisce la giornata. «Quando è buio non è permesso più niente» dicono, «ma di giorno, non è che cambi molto, prendere una macchina è andare a Dahriya, una cittadina distante soli dodici chilometri, magari per trovare la farmacia che qui non esiste, è impossibile, i controlli militari sono snervanti e soprattutto rischiosi».

Ne ricordo uno in particolar modo. Siamo in cinque, tre adulti italiani, l’autista palestinese e il figlio, quattro anni. Ci mettiamo in coda alla fila, sono soprattutto mezzi pesanti. Spegniamo la macchina, si deve aspettare. Il bambino tace, solo pochi istanti prima allegro, giocava scambiando sorrisi e il suo sguardo vispo con noi. Dopo mezz’ora l’autista decide di superare almeno qualche camion, così, «quando sarà il momento di ripartire per la strada sterrata e stretta, saremo davanti e potremo recuperare un po’ del tempo perduto» ci dice.

I militari al primo blocco – ve ne è un altro collocato una settantina di metri più avanti, tutto intorno sono sparpagliati in divisa e in borghese, cercano qualcosa o qualcuno nel solito rastrellamento – strillano l’alt, uno continua a gridare e punta il mitra. Ci fermiamo ancora, spegniamo la macchina. Il militare continua, gioca con la prepotenza e inizia a ripetere divertito un numero col mitra: se lo alza sulla testa, lo porta lentamente braccia al petto, ce lo mostra, lo punta veloce sul bersaglio…noi. Il bambino oltre che taciturno è ora immobile, osserva , ipnotizzato dal comportamento. Tento di distrarlo con qualche diversivo ludico, non serve, è troppo concentrato su ciò che succede attorno. Il papà, alla guida, con la sua aria scoraggiata confessa, «ho imparato a tenere tutto, a non far vedere nulla a mio figlio, le emozioni che ti maturano qui te le devi tenere dentro». Passa ancora tempo, troppo. L’autista ci chiede di dire che siamo italiani, magari ci fanno passare prima, ma non si può, non si riesce neppure a parlare, a spiegare, dobbiamo restare lì, immobili. E' un pomeriggio d’agosto e ci sono quarantaquattro gradi. Ripartiamo dopo un paio d’ore, forse più, in mezzo a quel nulla riempito di violenza gratuita abbiamo perso il senso della misura. Intanto questo figlio, penso, assieme a molti altri figli, assorbe come spugna in un mare quasi secco l’inchiostro d’una quotidianità deformata, poi ne riversa poche gocce, quelle possibili per non morire di sete, e schizza su un foglio sporco trovato in macchina un’idea, accennando la rappresentazione del mondo in cui vive: guerra…invisibile guerra. Finalmente siamo al villaggio, il sole è all’imbrunire, tutti ci accolgono preoccupati, chiedono i motivi del ritardo, spieghiamo e nei loro volti si legge la rassegnazione, la rabbia.

Quando è buio ogni famiglia del villaggio accende il suo generatore di elettricità a benzina. Sa, da quel momento, che ha a disposizione circa tre ore di luce. Gayad, 50 anni, spiega, «il livello di benzina è collaudato, oltre questo consumo sarebbe impossibile, visti i costi». Parla di come la piccola economia del villaggio sin dal 1948 sia dipendente dal regime di occupazione che continuamente ha effettuato confische di terre per la pastorizia, demolizioni di case e di pozzi d’acqua che rappresentano per la comunità l’unica fonte d’approvvigionamento. In questo contesto di forte disagio sociale, di controllo psicologico e territoriale, ci sono i bambini, con in mano un permesse già all’età di dieci anni, altrimenti restano prigionieri del loro villaggio. Quando non sono a scuola gironzolano, fanno giochi riciclando come possono quel poco che gli adulti buttano via. Così, vecchie ruote di bicicletta o più spesso la compagnia degli animali utilizzati per lavoro si trasformano in antichi divertimenti. Questi bambini aiutano, si prodigano riempiendo l’acqua dai pozzi, scavandoli, svuotandoli, consapevoli che ognuno di loro è importante nelle scarse economie familiari. Arafat, 12 anni, racconta la sua giornata. Sveglia alle 6, una colazione semplice, pane arabo bagnato nell’olio con del tè, e poi col suo asino raggiunge il papà, porta fuori dal recinto il gregge e dopo un’ora circa va a scuola, fino alle 13.30. Arafat parla della sua quotidianità, «aiutare la mia famiglia dopo la scuola è l’unico modo che conosco di far passare la giornata a Ramadin». E allora eccolo diventare commerciante nel piccolo market di un cugino, oppure trasformarsi in pastore per pesare e segnare le pecore d’uno zio. I bambini sono immersi in un ambiente fortemente limitato dalle scelte conflittuali degli adulti di entrambe le parti, disegnano e offrono dettagliate fotografie della realtà che vivono, producendo i loro resoconti visivi. Occuparsene significa documentare l’assenza di tranquillità, l’idea che si fanno del nemico, e purtroppo anche come si preparino le guerre future. [2]

Nel disegno di Salam, così come in quelli di altri bambini, l’immagine del nemico è angosciante. Gli omini non rappresentano più uno dei semplici elementi che appartengono al disegno dell’infanzia, ma spietati combattenti. L’intera superficie del foglio è coperta dalle forze israeliane, i palestinesi che sono riusciti a penetrare verso il centro del foglio sono stati abbattuti. Quelli che sono ai margini vengono freddati sebbene fra loro ci siano già morti e i vivi tengano alzate le mani come per arrendersi (particolare questo, agghiacciante, che non lascia speranze). I loro mezzi, in quel centro impenetrabile dove non è permesso entrarci, bruciano. Il nemico è ben inquadrato. Il grafismo spoglio di questo disegno rappresenta i morti con un’obiettività sconcertante e l’immagine del nemico come insieme di uomini che non si ferma nemmeno davanti alla resa. Salam forse realizzerà quel sogno di vedersi giornalista. E' un bambino come tanti, ascolta, guarda, e talvolta disegna ciò che dalla realtà ha imparato, il nemico uccide, non permette nulla, si deve uccidere il nemico. Al di là di ogni presa di posizione politica Salam e altri bambini danno modo di vedere l’immagine che di questo insieme producono. Poi cresceranno, bypassati dal divertimento, dalla creatività che proietta l’infanzia nella ricerca di soluzioni positive, dall’idea di avere un’altra possibilità per il loro futuro. Diventeranno adulti, le idee cementeranno e con esse, le rispettive posizioni politiche (come finora è stato).

giovedì 21 febbraio 2008

Tè e musica


Che si fa in un piovoso e freddo pomeriggio di febbraio?
Io lavoro d'ago, bevo tè e ascolto Mozart, naturalmente.
Niente di meglio per lo spirito

lunedì 18 febbraio 2008

Per Helios

Grazie per il tuo commento saggio e pieno di ironia e sentimento, d'altronde sai scrivere benissimo, anche se non ti piace che ti venga detto...
C'è un libro che si intitola "Donne che corrono coi lupi" di Clarissa Pinkola Estés, una vera Bibbia per me, nella prefazione dice:
Siamo pervase dalla nostalgia per l'antica natura selvaggia. pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. ma l'ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l'ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe"
Non ti sembra che aderisca perfettamente a quello su cui abbiamo sproloquiato nel precedente post?

sabato 16 febbraio 2008

194, alcune considerazioni

Non penso che gli uomini siano inferiori a noi donne, credo fermamente, invece, che essendo noi un tutt'uno con madre natura e quindi cicliche, umorali, in sintonia con il giorno e la notte, con le lune,con la semina e con i raccolti, con il sangue mestruale e quello del parto, abbiamo una visione di vita e morte che si aggroviglia alle nostre vene e al nostro cervello. Il sesso maschile non possiede questo "terzo occhio", anche se alcuni di loro cercano di avvicinarsi al sentire femminile con estrema sensibilità.
Quindi, per continuare il discorso sulla 194, come si può spiegare a un uomo, veramente, cos'è un aborto? Nemmeno se quel grumo di cellule ce lo sfilasse lui dall'utero, con le mani piene del nostro sangue, potrebbe "ascoltare" il fluire delle parole che sgorgano dalla nostra mente, il dolore o il sollievo per una maternità incompiuta.
Io ho usufruito della legge sull'interruzione di gravidanza e me ne rallegro. Avevo già due figlie grandi e un lavoro, non potevo concedermi altro. Come posso pensare che le mie ragazze e tutte le altre donne in età fertile, tra i tanti drammi della vita, non possano almeno avere un pensiero in meno? Un figlio è per sempre, non come il "Trilogy", un figlio sarà il tuo pensiero fisso anche quando l'ultimo barlume di luce si spegnerà nei tuoi occhi.
Non voglio che i cattolici integralisti, i fascisti, i politici vuoti e stolti, i furbi, tocchino, nemmeno con la mente, i nostri corpi.
Il corpo di una donna è sacro, ed è sacro finché la donna stessa lo gestirà con consapevolezza e in piena autonomia.
Difendiamola questa legge, strenuamente, senza remore e senza compromessi. Nel corso degli anni ho sempre detto alle mie figlie che se fosse mai venuto il giorno in cui si fosse messa in dubbio la 194, io sarei stata quella in prima fila, disposta ad andare in carcere, e lo dicevo con il sorriso sulle labbra, incredula.
Beh, eccomi qui, sono pronta.

giovedì 14 febbraio 2008

sabato 9 febbraio 2008

Aborto e legge 40 - Anni '60-'70: gli albori

Ho 57 anni, e lo specifico perché è imprescindibile per raccontare della mia giovinezza agli albori degli anni '70. Allora si mormorava, non si dispiegava la voce come adesso, non si facevano ancora cortei, gli uomini, quelli adulti si intende, ti guardavano con disprezzo quando fumavi per strada, le minigonne li facevano impazzire, ma per loro rimanevi sempre una puttanella, i rapporti sessuali erano qualcosa che non si raccontava nemmeno all'amica del cuore, figurarsi quindi se rimanevi incinta! Il passo successivo, nel 90% dei casi era il matrimonio. Ma, c'era un ma, certamente, le ragazzine-bene e le signore ricche, scopavano a rotta di collo, tanto l'Inghilterra era vicina, lì si abortiva e nel giro di 24 ore si tornava a casa. L'Inghilterra? L'aereo? Ma siamo matti! Un volo a Londra costava una cifra, chi poteva solo immaginare di fare una cosa simile? E la clinica per abortire? Parliamo di milioni! Che rimaneva ? Ma che sciocchezza, le "mammane" no!? Quelle che ti mettevano sul tavolo di cucina e ti infilavano un ferro da calza per sistemare la questione e magari ti perforavano l'utero. Oppure i consigli delle altre donne, le docce fredde (al massimo ti beccavi un raffreddore), gli infusi di prezzemolo, le irrigazioni con intrugli non meglio specificati.
Mi ricordo ancora, ero una ragazzina, un giorno in cui mia madre e mia zia parlavano di un argomento futile, gossip per capirci. Mina, (sì, la cantante) era incinta! Mia zia, fiera puritana, si scaldava nella conversazione, le si imporporava il collo e una vena si gonfiava a dismisura, nel lessico familiare la chiamavamo "vena d'oro", insomma era indignata perché quella zozzona era incinta di un uomo sposato, e si teneva questo figlio del peccato con estrema disinvoltura! Naturalmente qualche anno dopo ho scoperto che la zia in questione a 19 anni era rimasta incinta del suo fidanzato e si era dovuta sposare. La dice lunga no?
Il seguito a più tardi.

mercoledì 6 febbraio 2008

Il telegiornale mi fa male


Che pollastra! Per la mia maledetta fretta ho perso il testo che ho inviato poco fa all'Osservatore Romano, a proposito degli ultimi bla-bla-bla del papa-re.
Oggi se ne è uscito fuori che non bisogna essere attaccati ai beni terreni.
Allora ho mandato una mail all'Osservatore dicendogli se il Santo Padre, mentre parla, riflette che il costo del suo abito, molto probabilmente, è tanto quanto tutto il mio guardaroba e che se Gesù Cristo decidesse di rifarsi una passeggiata sulla terra e vedesse lui e tutto il suo seguito conciati in quel modo si farebbe delle gran risate. Pensate che mi risponderanno?
Staremo a vedere.
Sempre vostra.
Luz

domenica 3 febbraio 2008

Bassa pressione


E' una umida, triste, grigia, piovosa, orrida, deprimente, inconcludente, giornata anzi domenica di febbraio. Scusate se non ho più scritto, avrei voluto tanto ma le giornate mi sono sfumate tra le dita ed eccomi qui, anche io orrida e deprimente Luz!
Sono giorni bui e privi di senso, non so proprio se ce la farò ad emettere suoni dalla mia gola, è come se fossi muta, di lingua e di cervello. A caso: i feti vanno rianimati e il papa ringrazia i medici, i ragazzi, stranieri o italiani si ammazzano di botte, gli operai, italiani o stranieri, muoiono sul lavoro, si parla delle scene di sesso di Nanni Moretti, Baudo fa il festival di Sanremo, i politici sono dei gran buffoni, il Cavaliere impazza ed è un vero verme strisciante, a me va solo di starmene dentro casa e a non ascoltare, a fare le mie cose, ma senza ascoltare, senza domande e risposte. Vorrei coltivare rose e peonie, leggere il cielo e le stagioni, parlare con leggerezza ed invecchiare con gioia. Ma non posso, no proprio non posso, io sono una di quelle dei tempi "la classe operaia va in paradiso", che cazzo ci sto a fare in un giardino di rose e peonie, anche se lo vorrei con tutte le mie forze?

venerdì 25 gennaio 2008

Piove sul bagnato


Prodi mi è sempre stato indifferente, come tutti gli italiani non capisco quando parla e dopo due minuti mi distraggo e comincio a pensare ai cazzi miei. Ma "il mascalzone" Berlusconi mi fa montare il sangue al cervello, non ho mai odiato tanto un uomo quanto lui. La destra, quella storica, è per me "il nemico", ma l'avversario mi piace batterlo sul terreno, di fronte, ad armi pari.
Berlusconi e i suoi scherani mi fanno venire in mente una sola cosa, terrorizzante: IL NULLA. Quello di Michael Ende nella Storia Infinita, che avanza sbriciolando ideali e fantasia, omologando le nostre vite e facendole avvizzire in un batter d'occhi.
Ora, di nuovo, battaglie a non finire, perché quel centimetro di terreno che avevamo conquistato lo riperderemo, perché l'orda barbarica di Forza Italia, AN e Lega, spavaldi e incivili resteranno al governo per un altro ventennio, e cosa che mi fa schifo, la pseudo-sinistra, un vero e proprio "blob", divorerà e digerirà se stessa, perdendosi in liquame.
E noi?
Scusate il riferimento ai miei amati libri che sono il pane quotidiano, noi diventeremo dei Pinocchi, perché come dice Geppetto, all'inizio del libro "...lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l'elemosina".

mercoledì 16 gennaio 2008

Su papa Ratzinger

Personalmente sono molto contenta che questo potente capo di stato non abbia varcato la soglia della Sapienza, anzi, se fosse in mio potere lo obbligherei alla regola francescana di non avere calzari né due tonache e lo manderei, lui e tutto il consesso di cardinali e vescovi, a predicare la parola di Dio, vivendo di elemosine. ma questa è un'altra storia come direbbe Michael Ende.
Invece aggiungo il commento del mio amico Elio che mi ha scritto una mail e che, pur essendo un laico e ateo convinto dice così:
...sono legittimi almeno quanto lo sarebbe stato l'intervento del Papa alla Sapienza. Sul quale noto solo un particolare: abbiamo graziosamente, generosamente e sciaguratamente consegnato ai papalini di ogni risma l'opportunità di impugnare uno degli strumenti preferiti dal Paradigma laico-scientifico-positivamente-evoluzionista e darwiniano, vale a dire il concetto di lotta per la libertà di espressione. Ed ora l'intera progenie ratzinger-creazionistico-veterotestamentaria-giulianferrariana lo usa contro di noi sbattendocelo in faccia in nomine patris. Bel risultato. Complimenti al prof. Cini e all'improvvido rettore. Il quale forse avrebbe dovuto come si dice "tastare il terreno" sul quale è rovinosamente scivolato, prima di invitare un papa teologo all'Agape della Libera Scienza in Libero Stato.

martedì 15 gennaio 2008

L'arpa di Davita

Una persona a me molto cara mi ha regalato un libro meraviglioso: "L'arpa di Davita" di Chaim Potok. Non intendo fare un riassunto del libro, tantomeno un commento, non ne sono capace, un libro mi rapisce per sottili e numerosi motivi.
Mi piace, a volte, rammentarne una frase che mi arriva dritta al cuore, attraverso chissà quali strane vie che sorgono dalle parole.

"Colmando con il lavoro tutte le ore della giornata, allontanava dalla sua vita i vuoti di ciò che chiamava tempi morti. I tempi morti portano alla solitudine, mi aveva detto una volta. E la solitudine, in certe occasioni, può spingerti a commettere sbagli e stranezze. La solitudine va prevenuta come si previene il dilagare di una pestilenza."